L’amore che non basta

Anna, oramai anziana, un giorno non ha fatto più ritorno a casa dove il marito, Severino, l’ha attesa, giorno dopo giorno. Fino a quando, un anno dopo, in un grigia alba invernale, trascinando una vecchia valigia, Severino parte dal porticciolo di Stromboli (dove si erano trasferiti dopo la pensione) per     ritrovare  e riportare a casa la donna della sua vita, perché questo è stata Anna per Severino.  

Per un intero anno, Severino si è preparato al viaggio, con dedizione e rigore, passeggiando nell’isola per preparare un corpo stanco e malato al lungo pellegrinaggio lungo la Sicilia orientale, in una sorta di via crucis, di città in città, tra i luoghi vissuti e, apparentemente, solo apparentemente, condivisi: Librizzi, Siracusa, Oliveri…  Nelle città abitate e sofferte, incontrando gli amici della giovinezza, riannodando i fili di una vita, rievocando brevi attimi di gioia e dolori profondi,  Severino scoprirà una verità che negli anni gli era sfuggita, ma che, molto probabilmente, non aveva saputo leggere.

Accompagnando Severino, il lettore incontrerà, senza maschere né finzioni,  Anna, seguendola dagli anni della fanciullezza alla maturità. Il viaggio di Severino è dunque il pretesto per  ricostruire la storia di Anna, attraverso un alternarsi di voci e intrecci,  felicemente costruiti dall’autore, un esordiente che promette di regalarci altre opere di grande valore narrativo. Mentre Severino si muove nel presente della ricerca, riconquistando e rileggendo il tempo vissuto, vediamo Anna vivere una vita che non ha scelto, vittima della volontà altrui, accettata per non fare soffrire chi le vuole bene.

   “Le mamme a volte sono egoiste.

Non lo fanno apposta, Dio le mette al mondo per proteggere i figli

e quando è ora non sanno come si fa a lasciarli andare”. 

È  la riflessione che Severino regala ad una giovane donna incontrata all’inizio del viaggio, una riflessione che, come accade a chi ha tanto vissuto, è frutto dell’esperienza di una vita, del dolore sperimentato nella propria vita  o in quella di altri. Nel caso specifico nella vita di Anna, costretta a soffocare il desiderio di vivere come una donna libera e seguire la volontà della madre per la quale:

“Na fimmina nasce per essere mugghìeri di un uomo e mamma d’un figghiu”.

Così Anna, dopo avere provato a sottrarsi,  è stata moglie, cedendo all’amore di Severino; ha cercato disperatamente la maternità e quando ha messo al mondo (facendosi beffa della medicina che la voleva sterile) il proprio figlio avrebbe voluto legarlo a sé, condizionandone l’esistenza, decidendo per lui, pur sapendo che “Il bene di una mamma è pericoloso, può essere acqua e zucchero, ma pure veleno”.

Matteo Corrente, pagina dopo pagina, con profondità e pietas ci regala il ritratto di una donna che non ha saputo ribellarsi, probabilmente, come dice Severino, per mancanza di coraggio. Una donna, comunque, che non può essere giudicata, ma che suscita nel lettore sentimenti di compassione  (inteso nel significato più alto, “patire con”) empatia e solidarietà.

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