Un colpo di stato contro la democrazia

La copertina del libro pubblicato da Einaudi

Il ruolo di gendarme del mondo che per decenni gli americani hanno preteso (con le ben note conseguenze internazionali) l’arroganza del loro operare, la disinvoltura dei loro interventi bellici e l’indifferenza nei confronti delle vittime civili   attraversano l’ultimo romanzo dell’autore peruviano che nel 2010 è stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura, proprio per avere narrato  le strutture del potere, la resistenza e la sconfitta degli individui.

 Temi di cui Vargas Losa si riappropria, tornando anche alla professione giornalistica, in “Tempi duri” dove, tra storia ed invenzione, racconta il colpo di stato, ordito dagli Stati Uniti, che nel 1954  pose fine al governo democratico di Jacopo Árbenz colpevole di volere imporre il pagamento delle tasse  alla United Fruit  Company  – poi meglio conosciuta come Chiquita – del rozzo, ma assai capace mister Zemuray  il quale con un capitale miserrimo era riuscito a creare un impero economico, esportando le banane prima negli Stati Uniti e, successivamente, in tutta Europa. Tanto che questo frutto, prima particolarmente esotico, è diventato familiare a tutto il mondo occidentale.

Per sfuggire ad un dovere, prima che civile, etico nei confronti delle popolazioni sfruttate nelle piantagioni, il signor Zemuray chiede aiuto a un raffinato intellettuale, Edward L. Bernays il quale, vincendo le resistenze iniziali, accetta l’incarico di  responsabile delle pubbliche relazioni della United Fruit Company, mettendo in atto quanto aveva avuto modo di affermare in un suo scritto del 1928, “Propaganda”: “La manipolazione consapevole e intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse svolge un ruolo importante in una società democratica, coloro i quali padroneggiano questo dispositivo sociale costituiscono un potere invisibile che dirige veramente il paese […] le minoranze intelligenti devono, in maniera costante e sistematica, sollecitarci con la loro propaganda”.

Da questa citazione del libro di Bernays (nipote di Freud, ritenuto il padre dell’ingegneria del consenso che ancora oggi viene brillantemente utilizzata) prende le mosse della ricostruzione storica  di “Tempi duri”, romanzo di conferma di una verità spesso, per comodità rimossa: ciò che muove la storia sono gli interessi economici.

Così la propaganda americana, costruita con abile spregiudicatezza dalla Cia, spinge i generali a tradire il loro presidente in quanto impegnato (accusa quanto mai falsa e strumentale) a costruire un regime di tipo comunista con il sostegno dell’Urss. La paura del comunismo, quindi, utilizzata anche in questo caso come scusante per  interventi armati per salvare la democrazia, ipocrita giustificazione per coprire ingerenze illegittime nella vita politica dei paesi dell’America Latina, e non solo.

Vargas Llosa, nel ricostruire le vicende storiche che hanno portato al colpo di stato, mette in scena i personaggi che hanno contribuito a costruire quella pagina di storia, o che l’hanno subita, con la ben nota abilità narrativa che li rende vivi, con la loro forza e le loro debolezze, le virtù e i vizi, le sofferenze e le illusioni. Personaggi memorabili capaci di vivere oltre le pagine che li raccontano come persone reali da comprendere o compatire. Tra gli altri Miss Guatemala, ovvero Marta Borrero Parra, amante del dittatore Castillo Armas, oggi anziana ed eccentrica signora  che  vive tra Washington e la Virginia, che avrebbe avuto un ruolo nel colpo di stato, collaborando con la Cia.  Vargas Losa chiude il suo romanzo con il racconto dell’incontro con Martita la quale dà prova della  durezza del proprio carattere, rifiutando con fermezza di fare chiarezza sul proprio coinvolgimento, regalando una delusione (all’autore e al lettore), ma anche una certezza:   Marta ha avuto nella vicenda il ruolo più importante, quello della testimone.

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