Storia di una niña mala e di un pichiruchi

La niña mala che incontriamo già nel titolo è solo in parte la protagonista femminile del  romanzo che dal Perù all’Europa, passando per Cuba e il Giappone, attraversa la storia del secondo Novecento, vista con lo sguardo di Ricardo Somocurcio, amante disperato e ripetutamente deluso.

La storia ha inizio “un’estate favolosa” del 1950 nel quartiere Miraflores di Lima dove l’adolescente Ricardo trascorre le sue giornate tra i bagni e le feste  in cui fa la sua comparsa, come un terremoto, il mambo che  sostituì tutti gli altri balli. Con un ritmo brioso e, apparentemente leggero, Vargas Llosa racconta quell’estate che segnerà profondamente la vita di Ricardo.

Infatti, proprio come un terremoto, nella vita di Ricardo irrombe anche Lily che si presenta come una ragazza cilena (ma che, scopriremo, cilena non è) capace di ispirare sentimenti amorosi e fantasie erotiche tra i ragazzi del quartiere, ma, al tempo stesso, suscitando critiche, maldicenze e invidie da parte delle ragazze, castigate e serie, rispetto alla presunta cilenita, vista come una rivale imbattibile.

Ricardo sogna di vivere a Parigi, meta raggiunta dopo la laurea dove, inaspettatamente incontrerà per la seconda volta, la cilenita di cui non aveva avuto notizia dall’estate favolosa del 1950.

Tanti anni sono trascorsi da allora e Ricardo aiuta, pur non  essendo coinvolto direttamente, dei giovani peruviani che sognano di realizzare nel loro Paese la rivoluzione castrista. Un sogno che finirà tragicamente per gli amici di Ricardo e che viene strumentalizzato dalla  niña mala per potere lasciare il Perù, per lei una  prigione, simbolo di miseria e privazioni che per tutta la vita cercherà di rimuovere, rifiutandosi di farvi ritorno e tagliando ogni legame con la famiglia di origine.

La niña mala (il cui vero nome scopriremo solo verso la fine del romanzo) si lancerà in avventure spesso  dolorose che le lasceranno segni indelebili nel  fisico e nella mente. Il disperato bisogno di raggiungere quella ricchezza  che va ben oltre la sicurezza economica la porterà a condividere la vita con diversi uomini (sposati per interesse e puro calcolo) da cui si allontanerà per trovare rifugio sicuro in Ricardo, sempre fedele ad un amore tormentato e rubato, concesso da una donna che, apparentemente, solo apparentemente, lo disprezza, perché lui pichiruchi (di poco valore)  vive da piccolo borghese, appagato del proprio lavoro, soddisfatto per avere realizzato il sogno adolescenziale di vivere a Parigi dove ha comprato un appartamento e raggiunto una discreta affermazione professionale come interprete e traduttore.

“Io rimarrei soltanto con un uomo che fosse molto, molto ricco e potente. Tu non lo sarai mai, per disgrazia”: dirà la niña mala a Ricardo, mentre si sta separando, ancora una volta, da lui.

Sarebbe riduttivo leggere le avventure della cattiva ragazza  come il racconto della disperata corsa verso l’affermazione sociale di una ragazza nata povera. Giacché il  romanzo offre  lo spunto per  soffermarsi sulle trasformazioni sociali e culturali dell’Europa tra gli anni Sessanta e Ottanta, per condividere con il lettore il sogno di democrazia di una parte della società peruviana che, divenuta parte attiva del progetto di modernizzazione,  dovrà fare i conti con una cocente delusione e col tradimento della classe politica.

Il romanzo ci spinge anche  ad interrogarsi sull’Amore (uso consapevolmente la maiuscola).

In particolare, sull’Amore vissuto con cieca abnegazione, contro ogni ragione, con  fedele dedizione: “continuavo a essere innamorato di una pazza, di un’avventuriera, di una donnetta senza scrupoli con cui nessun uomo, e io meno di chiunque altro, avrebbe potuto mantenere una relazione stabile senza finire calpestato”.

Il lettore a questo punto non può non chiedersi  cosa rende meritevoli d’amore, quale strana alchimia rende possibile perpetuare un legame indissolubile con chi elargisce dolore e umiliazioni. É sempre Ricardo a rispondere quando è costretto a riconoscere che “c’era in lei qualcosa che era impossibile non ammirare, per quei motivi che ci portano ad apprezzare le opere ben fatte, anche se perverse”.

 Sarebbe facile, a questo punto, interpretare quel “opere ben fatte” come una categoria estetica, pagando così un facile tributo alla superficialità propria del nostro tempo.

È, invece, molto altro che tocca al  lettore   scoprire.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *