Prigionieri di se stessi

A qualcuno potrebbe apparire quasi un luogo comune: i  libri ti permettono di vivere tante vite e di conoscere luoghi lontani.  I lettori che hanno il privilegio di incontrare libri di valore sanno che non è un luogo comune. Non lo è affatto con il libro di Doctorow che, ispirato a un fatto di cronaca realmente accaduto in America all’inizio del Novecento, ti porta a condividere la vita dei due fratelli  Collyer.

Mentre ti muovi tra le pagine di Doctorow ti ritrovi nell’elegante abitazione di Fifth Avenue,  quartiere residenziale di New York che si affaccia su Central Park dove Homer e Langley trascorrono tutta la loro esistenza, apparentemente (solo apparentemente) chiusi al mondo esterno, ma di fatto partecipi dei principali eventi storici e delle trasformazioni sociali e culturali di buona parte del Secolo Breve.

Breve e maledetto. Come Homer e Langley intuiscono, sviluppando la consapevolezza che la strada intrapresa dal genere umano lo porterà all’autodistruzione.

Visti dall’esterno, con  occhi borghesi e benpensanti, i due eccentrici fratelli appaiono folli tanto da diventare   oggetto di denunce  e bersaglio di attacchi ripetuti e violenti perché considerati un pericolo per l’incolumità dell’intero vicinato.

Il minore dei due fratelli Homer (divenuto cieco in giovane età) è consapevole di avere intrapreso una strada inconsueta per avere accettato le scelte bizzarre di Langley, tornato dalla prima guerra mondiale minato  nel corpo e nella mente dall’inumana esperienza delle trincee.

L’amore nei confronti del fratello, in un primo momento, impedisce ad Homer di dare il giusto peso a quelle che sembrano stravaganze e che nel tempo travolgeranno la vita di entrambi e la loro casa. Per produrre energia elettrica, senza dovere pagare, Langley decide di collocare nel grande salone che, quando i genitori erano in vita, avevano ospitato cene eleganti, una vecchia Ford Model T. Così, in alcuni decenni la grande abitazione si trasformerà in un enorme deposito di oggetti di ogni tipo, in  “un labirinto di viottoli pericolosi, pieno di ostacoli e vicoli ciechi”, un dedalo complicato costituito da”parti meccaniche di pianoforti, motori avvolti nei cavi di alimentazione, cassette degli attrezzi, quadri, pezzi di carrozzerie di automobili, copertoni, sedie accatastate, tavoli sopra tavoli, testate di letti, barili, pile di libri crollate, lampade d’antiquariato, pezzi di mobili dei nostri genitori, tappeti arrotolati, mucchi di vestiti, biciclette…”.

Doctorow nel suo romanzo con sensibilità e abilità narrativa ha riempito di significati (lasciamo al lettore la libertà di scoprirli) quella che studiosi ed esperti di psicanalisi, quando furono scoperti i  cadaveri dei due uomini, hanno individuato come una  sindrome   compulsiva chiamandola, appunto, sindrome di Collyer.

Per quanto ci riguarda, in linea con lo scrittore americano, ci piace pensare che quella di Homer e Langley sia stata una scelta di protesta contro un mondo dal quale bisognava difendersi:

“Dobbiamo tener testa al mondo:

non siamo davvero liberi

se lo siamo solo

quando gli altri ce lo permettono”.

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