“Di doman non v’è certezza”

Incontro con Riccardo La Cognata, scrittore Ragusano da anni vive e lavora a Roma.

In un momento come quello attuale  in cui ogni cosa sembra sospesa al punto che perdiamo la consapevolezza del succedersi dei giorni e delle ore, il romanzo di La Cognata ci porta a riflettere sul valore del tempo, argomento caro a filosofi e letterati. Da Seneca a Sant’Agostino, passando per Orazio e Virgilio, il tempo è sempre stato considerato come un bene prezioso, da non sciupare, perché difficilmente ci sarà restituito.

Seneca, in particolare, invitava l’amico Lucilio a vivere il presente, l’unico tempo incontestabile,  essendo il passato già trascorso e non avendo certezza del futuro che potrebbe anche non esserci. Da qui il consiglio che già in precedenza il poeta latino Orazio aveva efficacemente sintetizzato nel celebre carpe diem e che Lorenzo il Magnifico faceva proprio con l’altrettanto noto di doman non v’è certezza.

È quindi quello presente il tempo che siamo chiamati a vivere pienamente, ma che cosa accadrebbe se nell’oggi fosse possibile avere consapevolezza di quello che accadrà nel futuro? Se potessimo conoscere anche pochi istanti del tempo che sarà? Se fosse possibile anticipare gli eventi umani con la potenza della mente, aumentandola miliardi di volte?

La possibilità di anticipare gli eventi umani con la potenza della mente è l’argomento della ricerca di un neuropsichiatra americano che muore improvvisamente in un ristorante delle campagne laziali il cui proprietario, Vasco Mattini, si lancia in un’indagine svolta parallelamente all’amico/maresciallo, Sauro Corezzi, abituale frequentatore del locale, significativamente chiamato “Verziere dell’orso”.

Chi sia l’orso, tocca al lettore scoprirlo, sappia, intanto, che il cuoco/investigatore è un personaggio schivo con tratti da misantropo. Un uomo diretto, conciso, brutale, al punto da apparire profondamente antipatico, ma   colto (grazie alle molte letture da autodidatta) e profondamente sarcastico: “Già di suo era pesante, ma quando lo facevano incazzare diventava semplicemente odioso”, scrive  Riccardo La Cognata (pag. 18).

Nonostante questo caratteraccio, in merito al quale nel romanzo vengono tentate anche giustificazioni di carattere psicoanalitico, Vasco riesce a procurarsi le simpatie del lettore  che viene coinvolto nell’indagine investigativa  che conduce alla scoperta di una setta (quella degli Stenomeni) i cui componenti sono: Saul Bellow, Akira Kurosawa, Athena Minerva e Hyeronimus Bosch.

Vi starete chiedendo come sia possibile, ma, trattandosi di una indagine investigativa, mi guarderei bene da svelare la fine, togliendo il piacere della lettura che alterna pagine veramente esilaranti (come l’incontro tra Vasco e il suo fornitore di verdure Poliziano Ficino per il quale il detto latino nomen omen non è assolutamente vero) a  pagine di riflessioni filosofiche e musicali a colpi di scena che coinvolgono personaggi insospettabili.

Abbiamo intervistato l’autore del libro, trovate il testo dell’intervista in “Letti per voi”.

Protagonista de “Il senso del tempo” è un cuoco/filosofo, colto e dai raffinati gusti musicali, misantropo, ma capace di tessere forti relazioni di amicizia. Perché proprio un cuoco?

Potrei dire che tra i miei hobby, la cucina (attiva e passiva) è ai primi posti della classifica. Ma la verità è che il Senso del Tempo è stato concepito in un periodo di “quarantena” lavorativa in Asia di quasi quattro mesi. Per un certo periodo, mentre infuriavano i monsoni e non si poteva uscire dall’hotel dove alloggiavo, uno dei pochi esseri umani con cui interagivo era lo chef del ristorante dove pranzavo e cenavo tutti i giorni. Un personaggio particolare, tirannico con i sottoposti, ma anche generoso e soprattutto dotato di una rara intelligenza. Piacevoli le conversazioni con lui e anzi siamo ancora molto amici. Però a differenza di Vasco, a lui piace farsi chiamare chef e soprattutto la sua è un’intelligenza molto pratica e quindi meno incline alle speculazioni filosofiche. Quello è un tratto personale che ho innestato in Vasco, così come una certa crepuscolarità e la tendenza a trascendere, anzi al trascendente. In generale, e al di là delle suggestioni del momento, mi intrigava però dare a questi moderni alchimisti che sono i cuochi, una “forma” e uno scopo diversi da quelli che vediamo in televisione. E qui potrei continuare con i ricordi della cucina di mia nonna, di mio nonno pasticcere sopraffino ecc.

La vicenda ruota intorno alla morte di uno scienziato avvenuta nel ristorante di Vasco. Uno scienziato che indaga sul tempo perché vuole, attraverso l’uso, rivelatosi fatale, di sostanze lisergiche conoscere il futuro. Com’è nata questa idea?

Una sera di tanto, ma tanto, tempo fa mi trovavo a Venezia e andavo a zonzo per le calli avvolte da una fitta nebbia autunnale. Incontro per strada un tizio sudamericano che si era perso. Era il cameriere di una nave da crociera in libera uscita. Mi chiede un’indicazione e siccome vado nella stessa direzione gli dico di seguirmi. Comincio a scambiare qualche parola con lui e poi d’un tratto semplicemente sparisce, inghiottito dalla bruma. Ogni tanto, continuo a chiedermi se magari non sia stata un’allucinazione o se il tizio non sia stato risucchiato da una crepa nello spazio-tempo. Si sa, Venezia è una città misteriosa. Ma l’idea è nata da quell’episodio bizzarro. Non so perché o come mi sia ritornata in mente mentre stavo a Colombo, ma da lì ho cominciato a fantasticare e siccome in quel momento mi trovavo in balia del tempo, sospeso in una bolla di attesa come oggi tutti gli italiani, ho cominciato a sommare gli elementi e a dargli una linea, raccontandomi una storia che fosse coerente con quella coazione all’attesa che provavo. La parte sull’espansione sensoriale è frutto di altre letture personali alcune dotte, altre un po’ meno!

Nel corso della propria indagine (che svolge parallelamente a quella dell’amico maresciallo Sauro) Vasco s’imbatte in una setta particolare. Da cosa nasce questo interesse per il mondo delle sette?

Il Senso del Tempo gioca con il modello narrativo dei classici greci, che siccome non sapevano come far finire i loro drammi, facevano intervenire sempre un deus ex machina. Insomma, i destini degli uomini erano tessuti da divinità i cui pensieri o trame erano imperscrutabili per i miseri mortali. Quale metafora migliore per uno scrittore che dà vita ai personaggi e poi gliela toglie nel finale? Comunque, la setta degli Stenomeni, inventata di sana pianta, mi sembrava la logica declinazione di questo concetto, cioè dell’eterodirezione degli uomini. Zero interesse personale per le sette, che trovo limitate e limitanti, parecchio invece per l’esoterismo, ma inteso come strumento per raggiungere la cognizione di noi stessi, cioè della nostra interiorità. Una forma di algoritmo introspettivo che mi intriga.

Possiamo ritenere “Il senso del tempo” il primo di una serie di romanzi di “investigazione psicologica” con Vasco Mattini protagonista?

Potete e dovete! Vasco non vede l’ora di avventurarsi in altri meandri cognitivi, dalla fisica, alla matematica, alla musica alla…va beh lasciamo i dettagli alla prossima investigazione … già conclusa!

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