Chi ha paura della verità?

La storia d’Italia  è fatta  di delitti irrisolti,   stragi di stato,   trame occulte tessute da inafferrabili tessitori  che pesano vergognosamente sulle vittime, sui loro familiari e sui cittadini tutti che avrebbero diritto a conoscere la verità.

 Tra queste pagine oscure vi è  quella della morte di Pier Paolo Pasolini, intellettuale scomodo dell’Italia del Novecento, che con coraggio puntava il dito contro una certa classe politica responsabile, più o meno diretta, di delitti rimasti senza mandanti, svolgendo così pienamente il ruolo di coscienza critica della società del suo tempo. Con questa chiave di lettura presento Pasolini ai miei alunni, cercando di mostrare loro il molteplice impegno dell’uomo che fu narratore, poeta, regista, giornalista e che, in quanto tale, deve essere conosciuto e non per il suo orientamento sessuale.

Sull’omicidio Pasolini indaga, nell’ultimo romanzo di Lugli, il giovane cronista di nera Marco Corvino (“come un piccolo corvo”, è costretto a precisare agli interlocutori che ne storpiano il cognome), praticante del quotidiano “Paese Sera”, finanziato dall’allora Partito Comunista che, come tanti altri, preferì liquidare il delitto Pasolini come un delitto di sesso, maturato negli ambienti omosessuali. Sebbene gli elementi emersi nel corso delle indagini dimostrassero che Pino Pelosi non aveva agito da solo, che non era stato lui a pestare a sangue Pasolini, né aveva guidato l’auto che ne aveva di fatto causato la morte, travolgendolo.

È legittimo, quindi, chiedersi le ragioni per cui siano stato ignorate  le prove emerse anche in sede dibattimentale e indicate nelle motivazioni della sentenza di primo grado del Tribunale per i minorenni di Roma, presieduto da Carlo Alberto Moro, fratello dello statista ucciso, e che costituiscono l’appendice al romanzo.

Sebbene concepito e sviluppato come un romanzo,  “Il giallo Pasolini” assume il valore di un’inchiesta giornalistica, pericolosa e inquietante, che un giovane praticante di nera (che indubbiamente molto ha in comune con Lugli) svolge di propria iniziativa, rischiando il licenziamento, ma anche la propria stessa vita. Indagando sul delitto, infatti, Marco Corvino si muoverà alla scoperta della Roma notturna degli anni Settanta, tra omosessuali, spacciatori,  criminali, scoprendo un mondo altro al tempo stesso minaccioso e conturbante, respingente e affascinante che rischia di travolgerlo.

Un’inchiesta giornalistica, dicevamo, ma ben contestualizzata storicamente attraverso l’incontro con  personaggi quali Nino Marazzita, avvocato di parte civile, e Oriana Fallaci, già giornalista di fama,  che in un’inchiesta sull’Europeo, indicando testimoni rimasti anonimi, escludeva che Pino Pelosi avesse agito da solo.

Nella ricostruzione storica di quegli anni, Lugli non trascura il racconto del conflitto tra gruppi di studenti neri e rossi, spesso trasformato in scontri armati, violenti e sanguinosi, nei quali il praticante di nera si lascia coinvolgere, espressione comunque di un’appartenenza politica e ideologica a cui  gli studenti delle generazioni successive abbiamo guardato con nostalgia, sentendoci esclusi dall’impegno civile, senza  però sapere costruire una valida alternativa.

Per chi ha amato, e continua ad amare, Pasolini è forte l’amarezza per un delitto rimasto senza mandanti e su cui lo Stato avrebbe il dovere morale di fare chiarezza. Perché, diceva Pasolini nel “Pianto della scavatrice”, “Solo l’amare, solo in conoscere conta. Non l’aver amato, non l’aver conosciuto”.

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