Essere donne senza perdere la propria interezza

(pag. 224)

Ci sono libri che arrivano  quasi per caso, non cercati. Forse proprio per questo, come un dono inatteso, si rivelano preziosi e cari perché giungono al momento giusto. Così è “La Sibilla”, biografia di Joyce Lussu, donna modernissima, dalla vita straordinaria, che si è spesa, fino alla fine, per la liberazione politica  e culturale di donne e uomini del Novecento.

Non si può dunque affidare al caso la lettura della Sibilla, soprattutto in questo particolare momento storico,   in cui i sintomi di un rinato nazionalismo accompagnato da conati di autoritarismo, esercitato con disinvolta tracotanza, minacciano quanto Joyce è riuscita a costruire con abnegazione, assieme al marito Emilio Lussu e a decine di donne e uomini, schierati contro i regimi nazifascisti.

Di nobili origini, nata e cresciuta in un ambiente anticonformista, ma culturalmente molto stimolante, Joyce Lussu non si è mai lasciata intimidire dalla violenza fascista, subita insieme alla propria famiglia. Non ha mai perso la determinazione e il coraggio necessari a portare avanti missioni segrete  non solo in Europa, spendendosi per falsificare documenti d’identità e lasciapassare; nel trasporto di documenti e armi;  sottoponendosi ad addestramenti militari, come, se non meglio di un uomo.

 L’incontro con Emilio Lussu, fondatore di Giustizia e Libertà, di cui nel libro è raccontata anche la rocambolesca fuga dal confino di Lipari, non poteva non concretizzarsi in un comune progetto politico ed in una relazione sentimentale, sempre solida, nonostante le difficoltà, le rinunce (Joyce fu costretta ad abortire, rimasta incinta del primo figlio, rischiando la depressione), i rischi. Non poteva non trasformarsi in un rapporto simbiotico, così forte, che, racconta Joyce in “Fronti e frontiere”, uno dei suoi preziosi scritti:

La biografia di Joyce Lussu è anche la storia dell’Italia antifascista e, dopo il 25 aprile, la storia dell’Italia democratica. È soprattutto, e non a caso, la storia delle donne che hanno contribuito alla nascita dell’Italia moderna e democratica. È  anche (o soprattutto) la storia della loro emancipazione per la qual Joyce si è spesa con tutta se stessa. Sebbene bisognerà aspettare gli anni Settanta prima di conoscere il ruolo di queste donne, confinate, dalla storiografia e dalla pubblicistica, in ruoli minori, nelle retrovie. Eppure erano donne “intere”, aggettivo utilizzato da Joyce per raccontare Elisabetta, una donna sarda, conoscitrice di erbe e guaritrice, l’ultima Sibilla barbaricina.